Il viaggio a Parigi

Uno dei primi eventi di rilievo nella vita dell’eremita, appena uscito dalla casa paterna e abbandonato il suo paese natìo, fu il viaggio a Parigi, compiuto, secondo la Legenda intorno all’anno 1103, dunque a 19 anni di età, per venire incontro alla sua “grande voglia di conoscenza” (discendi voto Parisium profectus est).

Poco si conosce delle modalità con le quali si svolse il viaggio di andata nel Paese d’oltralpe; non si è lontani dal vero, tuttavia, nel ritenere che questo si sia potuto realizzare attraverso gli unici mezzi di “locomozione” allora disponibili: i propri piedi e, magari, l’uso di bestie da soma come l’asino o il mulo. La tradizione narra che in tale viaggio Giovanni abbia avuto quale compagno Stefano Corumano, nativo di Riccia.

Ai quei tempi, per completare la propria formazione, soprattutto quella di natura teologica, ci si doveva recare obbligatoriamente in qualche grande città famosa per la sua tradizione nel campo accademico. Anche se una tale opzione non era, evidentemente, alla portata di tutti, per questioni di natura sia economiche sia logistiche, pur tuttavia i cosiddetti “chierici vaganti” sfidavano finanche i rischi dei lunghi e pericolosi viaggi pur di recarsi nei centri di cultura più prestigiosi fra i quali, oltre alla Scuola Episcopale di Parigi, brillavano le rinomate abbazie di Montecassino, San Gallo e Fulda.

La Scuola di Parigi, annessa alla celebre cattedrale di Notre-Dame, cominciava ad acquisire una certa preminenza su tutti gli altri centri di studi, attirando e accogliendo studenti provenienti da ogni parte d’Europa. Inoltre, a rendere luminose le cattedre di questa Scuola contribuivano la parola e la competenza filosofico teologica di figure come il vescovo pavese Lanfranco (1005 – 1080) e, in modo speciale, Anselmo d’Aosta (1033 – 1109) e Pietro Abelardo, una tra le figure più prestigiose del secolo XII.

Dopo un certo tempo però Giovanni decide di tornare in Italia, spinto dal vivo desiderio di un eremo (eremum concupiscens) accompagnato sempre dall’amico Stefano di Riccia, anch’egli alla ricerca di un luogo solitario.

Il bisogno del ritorno in patria viene interpretato alla luce della tradizione per la quale, a indurre Giovanni a rimpiangere le amate solitudini dei faggeti del Samnium, contribuirono, secondo un diffuso “tòpos” letterario, il lusso sfrenato della grande città parigina e la dissolutezza dei suoi tanti abitanti: tutte situazioni che rinforzarono nel suo intimo l’ideale di quel “contemptus mundi” (inutilità o vacuità del mondo) che l’arrestava sulla via della perfezione e della Santità e che male si coniugava con il desiderio di una vita fondata sull’essenziale, la ricerca consapevole di una penitenza purificatrice e il bisogno di pregare consacrando a Dio tutti gli affetti e le sue aspirazioni.

930° ANNIVERSARIO DELLA NASCITA di SAN GIOVANNI EREMITA da TUFARA (1084 – 1170) Primo Santo del Molise – Grafiche Faioli